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Caso Vivendi – Tim: la Consob prova l’esistenza del controllo de facto

Continua la controversia tra Vivendi e il Ministero dello Sviluppo Economico. Come già preannunciato da noi di MondoMobileWeb, ad avviare l’istruttoria per verificare la legittimità del controllo di fatto di Vivendi su Telecom, era stato il Ministro Calenda, il quale aveva comunque smentito tutte le ipotesi di presunta vendetta da parte del governo italiano sulla nazionalizzazione dei cantieri di Saint-Nazaire da parte dei francesi. Come ricordato, il 7 Agosto 2017, mediante l’Autorité des Marches Financiers, Vivendi aveva risposto, alla richiesta di pronunciarsi da parte della Consob (Commissione Nazionale per la Società e la Borsa), di non esercitare nessun controllo di fatto su Telecom Italia.

Il parere della Consob di ieri 13 Settembre 2017, contribuirà a consolidare la posizione del Ministero. Secondo la Consob il controllo di fatto di Vivendi avverrebbe ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile e dell’articolo 93 del Testo Unico della Finanza. Secondo la legge italiana si dicono “società controllate” quelle in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti in assemblea ordinaria, o esercita un’influenza dominante in assemblea ordinaria, o ancora, esercita un’influenza dominante in presenza di particolari vincoli con la società controllata stessa.

Pur essendo socio di maggioranza e adottando comportamenti tipici di un soggetto controllante, Vivendi non ha mai inviato al governo italiano la notifica del controllo esercitato su Telecom, necessario secondo Consob in talune circostanze, violando l’articolo 2 comma 2 del decreto legge 15 marzo 2012 (che istituisce la Golden Power, cioè l’insieme dei poteri speciali esercitabili dal governo per tutelare alcuni settori di vitale importanza per il Paese).

La legge sancisce che qualsiasi atto, operazione, delibera, adottati da una società, che detiene uno o più attivi individuati dal governo nei settori strategici dell’economia, “che abbia per effetto le modifiche della titolarità, del controllo o della disponibilità degli attivi medesimi o il cambiamento della loro destinazione, comprese le delibere dell’assemblea o degli organi di amministrazione aventi ad oggetto la fusione o la scissione della societa’, il trasferimento all’estero della sede sociale, il trasferimento dell’azienda o di rami di essa in cui siano compresi detti attivi o l’assegnazione degli stessi a titolo di garanzia, sono entro dieci giorni, e comunque prima che ne sia data attuazione, notificati alla Presidenza del Consiglio dei Ministri dalla societa’ stessa“.

Ciò che Vivendi contesta è l’adozione unilaterale di tali atti e operazioni da parte sua e l’assenza del conseguente obbligo di notifica di tali fattispecie dominanti. Un articolo del quotidiano online Repubblica.it delle ultime ore però, ha illustrato quelle che sarebbero le dieci prove che la Consob avrebbe per confermare il comportamento di socio controllante de facto dell’azienda.

Gli indizi andrebbero dall’esclusiva iniziativa della risoluzione del contratto di Flavio Cattaneo da parte di Puyfontaine alla proposta di nomina del nuovo direttore generale Amos Genish, dal mancato coinvolgimento del Consiglio d’Amministrazione della cessione delle quote di Telecom in Persidera all’ eccessivo coinvolgimento (invece) di manager e personalità legati a Vivendi negli organismi di direzione e coordinamento della telco.

Il controllo di fatto da parte di Vivendi, infatti, non solo la esporrebbe dinanzi all’esercizio di quei poteri speciali che la legge conferisce allo Stato per la tutela dei settori vitali per l’economia italiana (che nel decreto legge sono quelli dell’energia, trasporti e comunicazioni), ma anche il consolidamento in capo al socio francese del debito di 25 miliardi netti di Telecom italia. In un comunicato successivo alla delibera della Consob, Vivendi ha lamentato lo scostamento di tale provvedimento con l’interpretazione in materia di controllo società a cui Telecom si è sempre attenuta.

Intanto Mercoledì 13 Settembre 2017 è stata anche la giornata in cui l’Agcom ha approvato il piano di regolarizzazione dell’eccessiva concentrazione da parte di Vivendi di quote nel settore delle comunicazioni. Vivendi, che detiene il 29,9% di Mediaset, ha proposto di vendere il 19,9% delle sue azioni ad un soggetto terzo che non dovrà però fare capo alle società controllate di Telecom e Vivendi.

Le complicazioni aumentano quindi per il colosso dei media che ambiva a costruire il suo impero mondiale. Il governo dovrebbe prenunciarsi sulla questione nei prossimi giorni e, in caso di esito negativo, Vivendi rischierebbe di pagare una multa di 300 milioni.

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