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TIM, Vodafone, WindTre e Fastweb: annullate multe sull’intesa nel ritorno alla fatturazione mensile

Il TAR del Lazio ha accolto i ricorsi di TIM, Vodafone, WindTre e Fastweb relativi alla sanzione da oltre 200 milioni di euro complessivi per l’intesa anticoncorrenziale nella decisione di passare alla fatturazione a 28 giorni. La maxi-multa è stata così annullata.

La vicenda

Si tratta del noto caso risalente oramai ad alcuni anni fa, quando i principali operatori avevano deciso, nel 2015, di modificare il periodo di rinnovo portandolo dalla cadenza mensile a quella quadrisettimanale, ovvero ogni 28 giorni.

L’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni era intervenuta dapprima con la delibera 121/17/CONS nel 2017, stabilendo che per il fisso la cadenza di rinnovo dovesse essere mensile, ma gli operatori non si erano adeguati immediatamente. Il mancato adeguamento portò all’avvio di alcuni procedimenti sanzionatori.

Solo successivamente gli operatori si adeguarono specificando che, in attuazione delle delibere in materia, la fatturazione sarebbe stata effettuata su base mensile, con la conseguenza che la spesa annuale complessiva sarebbe stata distribuita su 12 canoni invece di 13 e con un aumento del +8,6% dei canoni mensili che non avrebbe però modificato il prezzo annuale.

In seguito ad alcuni accertamenti nelle sedi degli operatori TIM, Vodafone, WindTre e Fastweb da parte dell’Antitrust, era emersa però l’esistenza di una possibile pratica concordata, con un rischio per la concorrenza giudicato di entità elevata.

Al 28 Gennaio 2020 risaliva il provvedimento definitivo con cui l’Antitrust deliberava che era stata posta in essere “un’intesa segreta, unica, complessa e continuata, restrittiva della concorrenza, in violazione dell’articolo 101 del TFUE, finalizzata a mantenere il livello dei prezzi esistente e a ostacolare la mobilità delle rispettive basi clienti” irrogando le sanzioni contestate dagli operatori di fronte al TAR.

La decisione del TAR sulla presunta intesa per il ritorno alla fatturazione mensile

Si premette che Iliad ha preso parte con intervento ad opponendum, mentre l’Antitrust si è costituita per resistere al gravame.

Il ricorso degli operatori TIM, Fastweb, Vodafone e WindTre si è essenzialmente basato sull’eccesso di potere dell’Antitrust, errore di fatto e carenza di motivazione, oltre che travisamento di fondo. Infatti, secondo gli operatori l’Antitrust avrebbe esercitato funzioni di regolazione della condotta commerciale e di determinazione del prezzo dei servizi forniti agli utenti, valutando alcuni confronti tra le parti come degli accordi segreti.

Il TAR, nell’esaminare la questione, ha osservato che le considerazioni svolte dall’Antitrust nel provvedimento sanzionatorio, relative ad esempio al repricing del canone periodale nel passaggio alla fatturazione mensile, potrebbero al massimo individuare una pratica scorretta ai sensi del Codice del Consumo, ma non l’esistenza di una pratica concordata tra gli operatori.

Innanzitutto, secondo il TAR la delibera presenta un primo profilo di illogicità quando desume e valorizza “l’asserita segretezza dell’intesa esclusivamente sulla base di un documento” che rappresentava una comunicazione interna di Vodafone, datata 23 Ottobre 2017.

Poiché l’intesa è stata collocata però dall’Autorità stessa tra il 14 Novembre 2017 e il 13 Aprile 2018 (data di notifica del provvedimento cautelare) il documento citato non poteva provare la segretezza dell’intesa, essendo esterno al perimetro temporale della presunta pratica concordata.

Inoltre, l’altra scelta possibile rispetto alla decisione di “riparametrare” il costo delle offerte in seguito al ritorno mensile, ovvero quella di ridurre il canone, secondo il TAR sarebbe potuta esser evitata indipendentemente da ogni operatore semplicemente sulla base della sua non convenienza dal punto di vista imprenditoriale. In altri termini, non sarebbe stato necessario un confronto segreto e anticoncorrenziale per spingere le singole decisioni degli operatori a convergere verso la decisione più sicura per il proprio business.

Inoltre, nei documenti ritrovati dall’Autorità non si fa mai riferimento al termine “repricing ma solo al termine “billing”, ossia fatturazione. Proprio con riferimento al repricing, il TAR ha riportato anche il parere dell’AGCOM che evidenziava come l’incremento dell’8,6% non fosse nato in sede di ritorno alla fatturazione mensile, ma ben prima, quando gli operatori avevano optato appunto per una fatturazione a 28 giorni. Le condotte successive al ritorno alla fatturazione mensile avevano invece dimostrato l’interesse degli operatori a mantenere i loro livelli di ricavo sulle offerte.

Il “punto focale” del provvedimento dell’Antitrust, ovvero quello del repricing, sarebbe dunque stato sconfessato già dall’AGCOM nel suo parere, secondo la visione del TAR.

Quanto ai contatti tra gli operatori, l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ha ritenuto necessario nella delibera 495/17/CONS garantire uniformità e coerenza al processo con cui gli operatori dovevano gestire il ritorno alla fatturazione mensile, anche tramite indicazioni al mercato.

Secondo il TAR, che cita l’AGCOM, sarebbe dunque “naturale” che tra operatori attivi in un contesto fortemente regolato si sia innestato un processo di confronto sulle modalità attuative della citata legge e delle relative interpretazioni.

Dunque, il Tribunale Amministrativo ha ritenuto che anche il tema del confronto anticoncorrenziale fosse stato destrutturato dall’AGCOM stessa.

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Fogli TIM Fastweb

Annullato il provvedimento Antitrust contro gli operatori

Secondo il TAR, partendo dall’ipotesi di coordinamento tra imprese riscontrato dall’Antitrust, sulla base delle argomentazioni dell’AGCOM sembrerebbe dimostrato che non si siano verificati effetti anticompetitivi, anche considerando che il repricing attuato dagli operatori ha avuto secondo i dati raccolti “un effetto trascurabile sul normale andamento delle portabilità del numero nel corso dell’anno”.

L’Antitrust non avrebbe però tenuto conto di tutte le considerazioni dell’AGCOM riportate dal TAR Lazio, limitandosi a riassumerle all’interno del suo provvedimento e ribadendo le proprie tesi che, non confutando le osservazioni del Regolatore, si sarebbero risolte in “petizioni di principio”.

Di seguito uno dei passaggi conclusivi della decisione del TAR:

“In sostanza, mancano nel provvedimento elementi indiziari, gravi, precisi e concordanti, tali da delineare un quadro sufficientemente chiaro, non altrimenti spiegabili se non con l’esistenza della accertata pratica concordata, volta a limitare il confronto competitivo nei mercati rilevanti: a) dei servizi al dettaglio di telecomunicazione mobile di estensione geografica nazionale; b) dei servizi al dettaglio dell’accesso su rete fissa a banda stretta, di estensione geografica nazionale; c) dei servizi al dettaglio di telecomunicazioni su rete fissa a banda larga e ultralarga, di estensione geografica nazionale.”

Invece, gli operatori avrebbero fornito una spiegazione plausibile degli incontri ricostruiti, che troverebbe in ogni caso una sua conferma nel parere dell’AGCOM.

In altri termini, e riassumendo la conclusione del TAR, la ricostruzione dell’Antitrust che ha portato alle sanzioni per intesa segreta e duratura nel tempo non sarebbe supportata da evidenze istruttorie adeguate a contrastare la tesi delle parti sul mero scambio di informazioni tra operatori per adeguarsi alla delibera sul ritorno alla fatturazione mensile, anche per tramite di Asstel, l’Associazione degli operatori di telecomunicazione italiani.

La spiegazione fornita da TIM, Vodafone, WindTre e Fastweb è sembrata quindi al TAR plausibile e alternativa a quella seguita dall’AGCM. Per questa ragione, è stato disposto l’annullamento dei provvedimenti impugnati e delle relative sanzioni, e l’Antitrust è stata condannata a pagare le spese di giudizio.

Le multe inizialmente irrogate e adesso annullate erano di circa 114 milioni di euro a TIM, 60 milioni a Vodafone, 39 milioni a Wind Tre e 14,7 milioni a Fastweb, per un totale di circa 228 milioni di euro.

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