Manutenzione correttiva della linea: Il CdS annulla la sanzione a TIM per intesa restrittiva
Il Consiglio di Stato si è espresso sugli appelli di TIM, Sirti, Site, Valtellina, Alpitel, Sielte e Ceit Impianti in seguito a una sanzione dell’Antitrust per 28 milioni di euro complessivi per una presunta intesa restrittiva nel mercato della manutenzione correttiva. Secondo il CdS, la sanzione dell’AGCM confermata dal TAR non è legittima.
Le società coinvolte (TIM in primis con una sanzione di 21,5 milioni di euro) hanno proposto appello contro la sentenza per un’intesa anticoncorrenziale segnalata da Wind Tre e Fastweb, che sarebbe stata posta in essere dalle società di cui sopra con il coordinamento di TIM nel mercato dell’offerta di servizi di manutenzione correttiva sulle reti di TIM.
Per l’Antitrust, l’intesa consisteva essenzialmente in uno scambio di informazioni prevalentemente commerciali e nel coordinamento dei prezzi e delle condizioni nell’erogazione dei servizi di manutenzione correttiva su linee ULL della rete TIM.
Il TAR aveva respinto i ricorsi delle aziende, ritenendo comprovata la sussistenza di condotte anticoncorrenziali. Nella sua sentenza di pochi giorni fa, invece, il Consiglio di Stato ha accolto tutti i ricorsi presentati.
Nella sua motivazione, il CdS parte da molto lontano: con la delibera 731/09/CONS, TIM è stata obbligata a consentire l’accesso alla rete in rame tramite il servizio disaggregato (ULL) permettendo a tutti gli operatori alternativi, detti OLO, di offrire i loro servizi.
TIM era responsabile della linea tra il punto terminale del raccordo utente e il permutatore di confine, mentre gli OLO lo erano solo per la parte compresa a monte del permutatore di confine e a valle del punto terminale del raccordo utente.
Inoltre, alternativamente o in parallelo rispetto alle condizioni stabilite dall’offerta di riferimento di TIM approvata dall’AGCOM, gli operatori stipulavano spesso accordi bilaterali per la gestione delle manutenzioni scegliendo un System Unico, vale a dire un solo soggetto che interviene sulla gestione del guasto indipendente dalla porzione di rete interessata.
In questo modo, TIM affidava a un’impresa esterna le attività di risoluzione dei disservizi, operando nella risoluzione sull’intera catena impiantistica, sia sulla porzione di rete di responsabilità di TIM che su quella dell’operatore OLO. Infine, il soggetto in questione (scelto congiuntamente) provvedeva a certificare la competenza del guasto tra TIM e l’operatore OLO.
Tornando adesso al caso specifico, nel 2012 Wind e Fastweb hanno inviato delle richieste di preventivo alle società di manutenzione Alpitel, Ceit Impianti, Sielte, Sirti, Site e Valtellina, riscontrando, tra le altre cose, una sostanziale uniformità dei prezzi offerti.
Dopo la segnalazione per possibile intesa restrittiva, l’AGCM ha avviato la sua istruttoria, conclusasi con delle sentenze che secondo il CdS sono risultato di un cattivo esercizio del potere dell’Autorità, perché “fondato su una errata ricostruzione delle condizioni giuridiche e fattuali all’interno delle quali le prestazioni dei servizi potevano effettivamente svilupparsi ed essere erogate”.
In sintesi, all’epoca dei fatti, il mercato non era stato ancora liberalizzato e le numerose delibere dell’AGCOM per regolare il mercato in questione non avevano comunque snaturato la sua intrinseca incontendibilità. TIM è infatti rimasto responsabile dello snodo finale per la manutenzione, dunque l’applicazione della teoria della restrizione del mercato risultava errata.
Di seguito, la motivazione della sentenza del Consiglio di Stato sulla condotta degli operatori e sulla presunta attività di coordinamento di TIM nell’intesa anticoncorrenziale ipotizzata dall’Antitrust:
“Il punto sostanziale eluso o non focalizzato dall’Autorità consiste nel dato di fatto della imprescindibilità della intermediazione di TIM, dato di fatto che rende del tutto inattuabili le proposte di preventivi che hanno generato l’intero procedimento sanzionatorio”.
Per questa ragione, il Consiglio di Stato ha reputato necessario accogliere i ricorsi in appello con annullamento del provvedimento dell’Autorità, salvo il corretto riesercizio della funzione da parte dell’Antitrust, in osservanza dei criteri d’azione esposti in sentenza.
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